FALSITA' IN ATTI - REATI CONTRO LA FEDE PUBBLICA - Cass. pen. Sez. feriale Sent., 02-08-2018, n. 39699

FALSITA' IN ATTI - REATI CONTRO LA FEDE PUBBLICA - Cass. pen. Sez. feriale Sent., 02-08-2018, n. 39699

Commette il delitto di falsità ideologica in certificati, previsto dall'art. 481 cod. pen., il professionista che redige la relazione tecnica, allegata alla domanda di rilascio del permesso di costruire in accertamento di conformità, falsamente attestante la conformità dell'intervento alla normativa edilizia ed urbanistica, in quanto tale attestazione, provenendo da soggetto qualificato, ha la funzione di fornire un'esatta informazione alla pubblica amministrazione, pur non trattandosi di un'attestazione obbligatoriamente prevista dal procedimento amministrativo di riferimento, destinata a provare la verità di quanto in essa rappresentato.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PENALE FERIALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI TOMASSI Maria - Presidente -

Dott. CATENA Rossella - Rel. Consigliere -

Dott. DE SANTIS Anna - Consigliere -

Dott. MONTAGNI Andrea - Consigliere -

Dott. BASSI Alessandra - Consigliere -

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

O.E., nato a (OMISSIS);

G.V., nato a (OMISSIS);

S.D., nato ad (OMISSIS);

avverso la sentenza della Corte d'Appello di Lecce - sezione distaccata di Taranto, emessa in data 17/01/2018;

visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere Dott.ssa Catena Rossella;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.ssa Lori Perla, che ha concluso per il rigetto dei ricorsi;

udito per gli imputati G.V. e S.D. il difensore di fiducia, Avv.to Raffaele Padrone, che ha concluso per l'accoglimento dei ricorsi;

udito per l'imputato O.E. il difensore di fiducia, Avv.to Domenico Rana, che ha concluso per l'accoglimento del ricorso.

Svolgimento del processo

1. Con la sentenza impugnata la Corte d'Appello di Lecce - sezione distaccata di Taranto, in riforma della sentenza emessa dal Tribunale di Taranto - che aveva condannato O.E., G.V., S.D. a pena di giustizia in relazione ai reati a loro rispettivamente ascritti, di cui: a) all'art. 81 c.p., comma 2, art. 110 c.p.art. 323 c.p.; b) art. 481 c.p., ascritto al solo G.V., assolveva quest'ultimo dal reato di cui al capo a) per non aver commesso il fatto, rideterminando la pena e confermando, nel resto, la sentenza impugnata.

Le imputazioni, in particolare, risultano formulate in relazione ai seguenti reati: O.E., G.V., S.D. a) art. 81 c.p., comma 2, art. 110 c.p.art. 323 c.p., perchè, in concorso fra loro, con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, l' O. nella qualità e nello svolgimento delle funzioni di responsabile del VII Settore dell'Ufficio Tecnico del comune di (OMISSIS), il S. in qualità di amministratore dell'impresa edile " R. e S. Costruzioni s.r.l." costruttrice - previa demolizione e ricostruzione di manufatto edilizio preesistente - dell'immobile sito in via (OMISSIS), il G. in qualità di progettista e redattore di una perizia tecnica, adottava (l' O.), in relazione all'immobile in parola, i provvedimenti amministrativi di seguito indicati, tutti illegittimi ed assunti in violazione di legge, così procurando intenzionalmente alla ditta costruttrice un ingiusto vantaggio patrimoniale, costituito dalla sanatoria degli abusi edilizi perpetrati nella realizzazione dell'immobile, e, contestualmente, cagionando a Ga.An., proprietario del fondo confinante in particella (OMISSIS), un danno costituito dalla possibilità data alla ditta costruttrice di edificare un immobile di cubatura pari a mc. 1.223,16 a fronte di una cubatura realizzabile minore pari a mc. 855,81 incompatibile con precedenti atti di asservimento volumetrico esistenti in favore di esso Ga., che gli consentivano di sviluppare sia la cubatura espressa dalla particella (OMISSIS), sia quella espressa dalla particella (OMISSIS); in particolare: in data (OMISSIS) l' O. rilasciava, in relazione all'immobile predetto, il permesso di costruire n. 29 ai sensi del D.P.R. n. 380 del 2001, art. 37, per la variante in accertamento di conformità, in violazione del D.P.R. n. 380 del 2001, artt. 36 e 37, in mancanza di documenti attestanti l'avvenuto accertamento di conformità, e nonostante l'intervento edilizio non fosse conforme alla disciplina urbanistica ed edilizia, fondandosi esclusivamente su relazioni tecniche di G.V., che attestano falsamente la conformità, nonostante sussistessero importanti difformità (già evidenziate dal consulente tecnico nominato nell'ambito del proc. pen. n. 8689/09 R.G.N.R., con risultanze note quantomeno al S. ed al G.) al piano dei locali tecnici definito non abitabile, laddove, al contrario, per le caratteristiche di realizzazione riguardanti l'accesso diretto dalla scala ad uso esclusivo, l'estensione della superficie di circa m. 30 superiore a quella di progetto, l'assenza di predisposizione per installazione di dotazioni impiantistiche a servizio delle D.I. sottostanti, il grado di finitura coincidente con quello delle abitazioni sottostanti, si trattava, in effetti, di un attico, quindi superficie utile, cubatura ed altezza dei locali che andavano considerati ai fini della verifica della conformità urbanistica; in data (OMISSIS), con protocollo 32530/2011, l' O. revocava l'ordinanza n. 59 con la quale, in data (OMISSIS), aveva revocato il permesso di costruire n. 29, con ciò ripristinando l'efficacia del titolo abilitativo, già di per sè illegittimo per le ragioni sopra esplicitate, ed in ulteriore violazione del D.P.R. n. 380 del 2001, artt. 10 e 22, per il riferimento quale ragione giustificativa del provvedimento adottato della D.I.A. prot. 739 del (OMISSIS), variante alla D.I.A. prot. 26166 del (OMISSIS), del tutto inidonee trattandosi di intervento edilizio che necessitava del permesso di costruire; in (OMISSIS), fino al (OMISSIS); nonchè, il solo G.V., in relazione al reato b) di cui all'art. 481 c.p., per avere, quale progettista e direttore dei lavori dell'intervento edilizio di cui al capo che precede, attestato ed asseverato falsamente nella relazione tecnica allegata alla domanda di permesso di costruire in accertamento di conformità, depositata in data (OMISSIS), la conformità dell'intervento edilizio di cui al capo a) alle norme urbanistiche edilizie vigenti per il comune di (OMISSIS); in (OMISSIS), il (OMISSIS).

2. Con ricorso depositato in data 25/05/2018 O.E., a mezzo del difensore di fiducia Avv.to Domenico Rana, ricorre per vizio di motivazione, ai sensi dell'art. 606 c.p.p., lett. e), in riferimento alla omessa motivazione circa l'intenzionalità del dolo del reato di cui all'art. 323 c.p., alla luce del fatto che la relazione dell'ing. M., consulente del pubblico ministero in altro procedimento penale, risaliva al marzo 2010, ad un momento storico antecedente ai fatti di cui al presente processo e, quindi, ad uno stato dei luoghi probabilmente differente da quello del (OMISSIS); inoltre, l'annullamento in autotutela predisposto dal ricorrente, e la sua successiva revoca, avrebbero dovuto essere valutati in riferimento ad un diverso contesto normativo, riferibile al successivo permesso a costruire rilasciato dal comune nel (OMISSIS); nessuna intenzionalità del dolo, quindi, può trarsi da una consulenza tecnica resa in pendenza di un procedimento amministrativo differente da quello successivamente richiesto ed ottenuto, così come a nulla rileverebbe la circostanza che l'atto di revoca dell'annullamento fosse stato protocollato quattro mesi dopo la sua adozione, essendo ciò del tutto compatibile con i tempi burocratici delle pubbliche amministrazioni; nè la sentenza impugnata offrirebbe alcuna motivazione circa l'elemento soggettivo in riferimento alle disposizioni di leggi o regolamenti violati, avendo l' O. rilasciato il permesso a costruire tenuto conto dell'attività istruttoria svolta dal Responsabile Unico del procedimento, non essendo altrimenti emersa la volontà di favorire l'impresa costruttrice.

3. Con ricorso depositato in data 24/04/2018 S.D., a mezzo del difensore di fiducia Avv.to Raffaele Padrone, ricorre per:

3.1. violazione di legge, ai sensi dell'art. 606 c.p.p., lett. b), in riferimento all'art. 323 c.p., non essendo possibile individuare le norme di leggi o regolamenti violate dal pubblico ufficiale, nè essendo emersi quegli elementi sintomatici indicati dalla giurisprudenza di legittimità, e, quindi, mancando la prova dell'intenzionalità, da parte dell' O., di procurare un vantaggio patrimoniale o un danno ingiusto; in particolare, non apparirebbe logico, come sostenuto dalla Corte di merito, rilevare la buona fede nella concessione del permesso in sanatoria, poi revocato a seguito delle pressanti richieste del Ga., e ritenere la sussistenza del dolo di abuso di ufficio posto in essere dall' O. dopo aver assunto le contro-argomentazioni del S. e dopo aver avuto contezza della pronuncia di inammissibilità del ricorso del Ga. emessa dal Giudice amministrativo; nè apparirebbe possibile desumere il dolo dalla circostanza che l' O. avrebbe dovuto avere la consapevolezza dell'illegittimità del permesso a costruire, per cui l'annullamento in sede di autotutela dello stesso era da considerare legittimo; quanto alla illegittimità dell'atto, pacificamente la stessa, oltre ad atteggiarsi come mero elemento sintomatico, rileva solo laddove si presenti come macroscopica, ossia quando l'intento delittuoso emerga in maniera evidente dal tenore stesso e dal contegno abnorme dell'atto amministrativo, il che, nel caso in esame, non si sarebbe verificato, essendo la sentenza basata su di un ragionamento del tutto presuntivo;

3.2. vizio di motivazione, ai sensi dell'art. 606 c.p.p., lett. e), in relazione al concorso del S., quale extraneus, nel delitto di abuso di ufficio, atteso che, alla luce dei parametri indicati dalla giurisprudenza di legittimità, non è sufficiente la mera coincidenza tra il tenore dell'atto asseritamente abusivo e le finalità perseguite dal privato, al fine di ritenere sussistente il reato; nel caso in esame mancherebbe la prova di un accordo tra il S. e l' O., non essendo possibile desumere la stessa dalla semplice pervicacia del privato nel perseguire il proprio fine, soprattutto ove si consideri che il S. aveva fatto ricorso a strumenti tipicamente previsti dalla legge, come il ricorso al Giudice amministrativo, a differenza del Ga. che, al contrario, avrebbe esercitato pressioni ai limiti dell'illecito, come dimostrato dalla motivazione della sentenza, secondo cui l' O. aveva agito per timore del Ga., con evidente insussistenza della prova circa accordi collusivi tra l' O. ed il S., a nulla rilevando la coincidenza tra l'atto, espressione della discrezionalità amministrativa, e le finalità privatistiche dell'extraneus.

4. Con ricorso depositato in data 01/06/2018 G.V., a mezzo del difensore di fiducia Avv.to Raffaele Padrone, ricorre per violazione di legge e vizio di motivazione, ai sensi dell'art. 606 c.p.p., lett. b) ed e), in riferimento all'art. 481 c.p., e D.P.R. n. 380 del 2001, artt. 36 e 37, premettendo che nel presente processo gli imputati non rispondono del reato di abuso edilizio, in quanto detta contestazione è stata posta a base di altro processo, conclusosi con la declaratoria di improcedibilità del reato per prescrizione; in detto contesto, in data (OMISSIS) la R. e S. Costruzioni s.r.l. aveva presentato al comune competente richiesta di permesso a costruire in accertamento di conformità, ai sensi del D.P.R. n. 380 del 2001, artt. 36 e 37, allegando alla domanda una generica relazione a firma del G., contenente l'altrettanto generica affermazione che l'opera da sanare, già realizzata in base alla D.I.A. del (OMISSIS), fosse da ritenersi conforme agli strumenti urbanistici attuativi vigenti; in relazione a detto documento il G. non può, quindi, rivestire nè il ruolo di progettista, in quanto la domanda in sanatoria non prevede alcun progetto, nè di direttore dei lavori, essendo stato già realizzato l'immobile da sanare, nè contenendo detto atto alcuna asseverazione, come peraltro rilevato in motivazione dalla sentenza che da detta constatazione avrebbe dovuto trarre la conclusione di ritenere non configurabile la fattispecie di reato; inoltre, entrambe le sentenze di merito non hanno valutato la possibilità di considerare sanabili le ritenute in difformità, alla luce del PRG e delle norme tecniche di attuazione del comune di (OMISSIS), con conseguente vizio logico della motivazione ed impossibilità di affermare la sussistenza del falso; inoltre, mentre è pacifica la sussistenza del reato in riferimento alla asseverazione di una D.I.A., essa deve escludersi in relazione ad un mero parere, sia pure tecnico, espresso in una generica relazione di parte, non asseverata, come nel caso di specie, e solo occasionalmente allegata all'istanza in sanatoria, con la conseguenza che l'atto non può essere qualificato come certificato e non è, pertanto, destinato a provare la verità di quanto in esso affermato.

Motivi della decisione

1. I ricorsi degli imputati O.E. e S.D. - che possono essere trattati congiuntamente, in considerazione delle questioni sollevate e dei contenuti argomentativi illustrati - sono entrambi infondati e vanno, pertanto, rigettati.

Pacificamente la giurisprudenza di questa Corte regolatrice ha affermato come la prova del dolo intenzionale, che qualifica la fattispecie di cui all'art. 323 c.p., prescinda dall'accertamento dell'accordo collusivo con la persona che si intende favorire, potendo essere desunta anche dalla macroscopica illegittimità dell'atto, sempre che tale valutazione non discenda in modo apodittico e parziale dal comportamento non iure dell'agente, ma risulti anche da ulteriori indici fattuali, concordemente dimostrativi dell'intento di conseguire un vantaggio patrimoniale o di cagionare un danno ingiusto, tra i quali assumono rilievo l'evidenza, la reiterazione e la gravità delle violazioni, la competenza dell'agente, i rapporti fra l'agente ed il soggetto favorito, l'intento di sanare le illegittimità con successive violazioni di legge, fermo restando che l'intenzionalità del vantaggio ben può prescindere dalla volontà di favorire specificamente il privato interessato alla singola vicenda amministrativa. (Sez. 3, sentenza n. 57914 del 28/09/2017, Di Palma ed altri, Rv. 272331; Sez. 6, sentenza n. 31594 del 19/04/2017, Pazzaglia, Rv. 270460;. Sez. 3, sentenza n. 35577 del 06/04/2016, Cella, Rv. 267633; Sez. 6, sentenza n. 36179 del 15/04/2014, Dragotta, Rv. 260233; Sez. 6, sentenza n. 21192 del 25/01/2013, Barla ed altri, RV. 255368). Alla luce di detti principi ermeneutici, va osservato che la sentenza impugnata ha descritto analiticamente la vicenda, relativa ad un immobile acquistato dalla società di cui il S. è amministratore, la cui particella (OMISSIS) era gravata da una servitù di cubatura in favore della particella (OMISSIS) di proprietà di Ga.An., operando specifici riferimenti alla documentazione acquisita nel corso dell'istruttoria dibattimentale.

Dalla relazione del G. allegata all'istanza di permesso in sanatoria anch'essa acquisita in atti - risulta che la società acquirente, in base alla D.I.A. del (OMISSIS) e della successiva D.I.A. in variante del (OMISSIS), aveva demolito l'immobile acquistato e realizzato un diverso immobile, composto da piano terra e primo piano con tre unità immobiliari ciascuno, nonchè un vano su lastrico solare, qualificato in relazione come vano tecnico; inoltre, nel (OMISSIS), la società aveva presentato una richiesta di accertamento in conformità, in quanto gli interventi eseguiti non rientravano nella categoria della ristrutturazione edilizia.

Il comune aveva rilasciato il permesso in sanatoria in data (OMISSIS), quindi aveva annullato il provvedimento in autotutela, il (OMISSIS), in base alla relazione dell'Ing. M., consulente del pubblico ministero, dando atto della difformità delle opere rispetto agli strumenti urbanistici, infine aveva revocato l'atto di annullamento in autotutela in data (OMISSIS).

Dalla relazione dell'ing. M., richiamata nel provvedimento in autotutela, si evince che il vano tecnico eseguito sul lastrico solare era, in realtà, un attico, la cui volumetria superava la volumetria edificabile sulla particella (OMISSIS), e superava altresì quella indicata nella relazione di progetto, oltre a non rispettare nè la distanza di mt. 5 dai confini, come previsto dalla normativa urbanistica di zona, nè la quota altimetrica indicata in progetto.

La sentenza impugnata, quindi, ha chiarito che la definizione di volume tecnico dell'attico realizzato nasceva dalla necessità di escludere lo stesso dal calcolo della volumetria, il che era indicativo della consapevolezza, da parte dell' O., dei limiti di cubatura della particella (OMISSIS), dal che discendeva l'illegittimità del permesso in sanatoria del (OMISSIS) e del successivo provvedimento di revoca del (OMISSIS), mentre era del tutto legittimo il provvedimento di revoca del permesso in sanatoria del (OMISSIS).

Quanto agli elementi sintomatici del dolo, la Corte di merito ha osservato che dalla motivazione del provvedimento in autotutela emergeva chiaramente la natura illegittima del permesso a costruire, di cui l' O. era pienamente consapevole, date le sue competenze tecniche, con conseguente dimostrazione della malafede in sede di revoca dell'annullamento in autotutela. Non a caso, inoltre, la sentenza impugnata ha evidenziato che, nella motivazione del provvedimento di revoca dell'annullamento, si fosse fatto riferimento agli "esiti dell'accertamento tecnico esperito in loco dallo scrivente U.T.C.", laddove detto accertamento non risulta essere mai stato eseguito, in quanto dalla pratica emerge solo una relazione istruttoria, priva di sottoscrizione e di protocollo, relativa al procedimento di accertamento di conformità.

Inoltre, il S. aveva presentato istanza di revoca dell'annullamento in autotutela in data (OMISSIS), a fronte del quale l'atto di revoca risale al (OMISSIS), protocollato il successivo (OMISSIS), dopo la pronuncia del TAR, che aveva sospeso in via cautelare gli effetti dell'ordinanza di annullamento del permesso di costruire.

Tutti detti elementi sono stati valutati come sintomatici del dolo, unitamente alla circostanza che nell'(OMISSIS) il Ga. aveva ulteriormente segnalato il superamento dei limiti di volumetria ed il ritardo con cui era stata protocollata l'ordinanza di revoca, a nulla rilavando l'ordinanza del TAR, che aveva disposto la sospensione dell'efficacia dell'atto di annullamento in autotutela, in quanto il provvedimento cautelare del Giudice Amministrativo si fondava su ragioni formali, non avendo, quindi, affermato, neanche incidentalmente, la legittimità del permesso a costruire; in tal senso, il fatto che l' O. avesse atteso la sospensiva del TAR per revocare l'atto di annullamento in autotutela, rappresenta - secondo lo sviluppo argomentativo della Corte di merito - un ulteriore tassello a fondamento della malafede dell'imputato, non comprendendosi per quale ragione, a quel punto, egli non avesse atteso la pronuncia definitiva del TAR. Detto compendio argomentativo appare sviluppato attraverso un percorso motivazionale del tutto immune da censure logiche, in aderenza con il canone ermeneutico di questa Corte di legittimità; in particolare, risultano evidenziati molteplici indici fattuali del dolo intenzionale, relativo alla fattispecie di cui all'art. 323 c.p., a differenza di quanto sostenuto in ricorso.

Quanto al ricorso dell' O., va, altresì, evidenziato come il riferimento, da parte della difesa, al contenuto della relazione dell'ing. M., consulente del pubblico ministero nel proc. pen. n. 8689/09 R.G.N.R., appare del tutto apodittico, considerato che trattasi di prova documentale, quindi atto del processo di merito, la cui valutazione è sottratta al vaglio di legittimità; peraltro, detta relazione - il cui contenuto è comunque oggetto di contestazioni difensive in termini esclusivamente probabilistici - non risulta neanche allegata al ricorso, non essendo stato rispettato, quindi, neanche il principio di autosufficienza del ricorso. Nè si comprende l'affermazione difensiva - secondo cui non si evincerebbe l'intenzionalità del dolo dell' O. in base ad una consulenza tecnica resa in pendenza di un differente procedimento amministrativo - non solo in quanto, come già detto, il contenuto di detta consulenza tecnica è solo genericamente richiamato dalla difesa, ma, soprattutto, non si comprende in quali termini il procedimento amministrativo sarebbe differente, atteso che il reato contestato ha per oggetto successivi provvedimenti abilitativi, tutti emanati in relazione al medesimo immobile.

Infine, non può non osservarsi come le critiche difensive non abbiano neanche considerato i differenti aspetti argomentativi della sentenza impugnata, non essendosi affatto confrontate, ad esempio, con il profilo relativo al mancato svolgimento dell'accertamento da parte dell'U.T.C., pur attestato dall' O. nella motivazione della revoca dell'annullamento.

Quanto al ricorso del S., deve aggiungersi, oltre a quanto sin qui illustrato circa la condotta del coimputato O., come la Corte di merito abbia osservato che il ricorrente avesse pervicacemente perseguito l'intento di realizzare un intervento edilizio non permesso, prima attraverso un permesso in sanatoria non consentito, quindi attraverso la falsa qualificazione delle opere realizzate, infine presentando istanza di revoca dell'atto di annullamento; da detti elementi la Corte territoriale ha tratto la dimostrazione che il S. facesse affidamento sull'accoglimento dell'istanza da parte del comune e, per esso, dell' O., ripercorrendo la cronologia dei fatti, con particolare riferimento al ritardato protocollo dell'ordinanza di revoca, in tal modo essendo dimostrate le pressioni esercitate sull' O. da parte del S..

Anche in riferimento al S. la motivazione della Corte territoriale appare non censurabile, avendo dato ampiamente conto degli specifici indici di illegittimità delle opere edilizie realizzate, rispetto alle quali è stata valutata la condotta del ricorrente nel corso dell'iter amministrativo parimenti illustrato in sentenza.

In tal senso il ricorso appare fondato su critiche che considerano singoli aspetti del ragionamento posto a fondamento della sentenza impugnata, risolvendosi in una parcellizzata contestazione della stessa, oltre che sull'assunto, niente affatto condivisibile, dell'assoluta necessità di provare l'accordo collusivo tra il privato ed il pubblico ufficiale, circostanza assolutamente non necessaria, alla luce della giurisprudenza di legittimità (Sez. 3, sentenza n. 57914 del 28/09/2017, Di Palma ed altri, Rv. 272331; Sez. 6, sentenza n. 31594 del 19/04/2017, Pazzaglia Rv. 270460; Sez. 3, sentenza n. 10810 del 17/01/2014, Altieri ed altri, Rv. 2588(OMISSIS)).

2. Parimenti infondato è il ricorso di G.V..

Va ricordato come già da tempo le Sezioni Unite - sentenza n. 18056 del 24/04/2002, Panarelli ed altro, Rv. 221404 - abbiano osservato, anche al fine di individuare la differenza con il certificato amministrativo proveniente da un pubblico ufficiale, che deve essere qualificato "come certificato tutelabile a norma dell'art. 481 c.p., qualsiasi attestazione di fatti rilevanti nell'ambito del servizio di pubblica necessità esercitato dall'autore dell'atto. E perciò i certificati di esercenti un servizio di pubblica necessità non sono certificati in senso proprio, in quanto possono anche richiedere un accertamento di fatti direttamente percepiti da parte dell'autore dell'atto." Sulla scorta di detto principio è stato, ad esempio, ritenuto integrato il reato in esame nel caso del tecnico il quale, incaricato di predisporre la documentazione da presentare a corredo di una domanda di concessione edilizia (ora permesso di costruire), pur avendo indicato, nelle tavole planimetriche, misure corrispondenti alla realtà, abbia però scientemente alterato i calcoli volumetrici, sì da far risultare, contrariamente al vero, la compatibilità dell'opera progettata con il limite della volumetria assentibile. (Sez. 5, sentenza n. 3146 del 07/12/2007, dep. 21/01/2008, P.C. in proc. Sechi ed altro, Rv. 238344; in motivazione si è osservato che il tecnico tenuto a disporre gli atti necessari per il rilascio di una concessione edilizia, deve certamente considerarsi persona esercente un servizio di pubblica necessità, a mente dell'art. 359 c.p., n. 1), atteso che sia il progetto sia la relazione ad esso allegata sono atti professionali che per legge devono essere prodotti a corredo della domanda di concessione edilizia - ora del permesso - che per legge richiedono un titolo di abilitazione e che sono vietati a chi non sia autorizzato allo esercizio della professione specifica).

Ciò che appare rilevante sottolineare è lo snodo motivazionale della sentenza da ultimo citata, in cui si osserva che pacificamente "è da ritenere la sussistenza del reato in esame anche nel caso in cui i dati esposti e le relazioni dei tecnici riguardano opere già eseguite (così Sez. 5, Sentenza n, 21639 del 24/02/2004 Rv. 229184 e Sez. 3, Nardini, citata), la natura di certificato dell'atto derivando dalla funzione cui esso è deputato, di fornire alla pubblica amministrazione una esatta informazione dello stato dei luoghi per le determinazioni che le competono- con la conseguenza che "anche un giudizio o una previsione possono essere ideologicamente falsi, al pari di un enunciato in fatto, quando i parametri di valutazione cui si riferiscono costituiscono ‘misurè obiettivamente verificabili, normativamente determinate o tecnicamente accertabili, e quando tali giudizi - che si definiscono perciò tecnici o in termini classici di misura per distinguerli da quelli considerati di valore in senso stretto in quanto sviluppati su parametri che non sono nè universali nè esatti - provengano da soggetti cui la legge riconosce una determinata competenza e perizia e ai quali per tale ragione ne riserva la formulazione. In tali casi, fondandosi il giudizio o la previsione sulla postulazione di criteri predeterminati, esso si risolve in una rappresentazione della realtà analoga alla descrizione o alla constatazione ed è nello stesso modo suscettibile di essere considerato un falsa certificazione quando perviene a risultati artefatti perchè basati su dati predeterminati, o predeterminabili, falsati." In tal senso, quindi, deve ritenersi del tutto irrilevante, ai fini della configurazione del reato di cui all'art. 481 c.p., la circostanza che la violazione edilizia abbia costituito oggetto di separato procedimento penale, e che la relazione a firma del G. si inserisse in un procedimento di accertamento in conformità, nell'ambito del quale non è prevista come necessaria alcuna relazione tecnica.

La condotta ascritta al ricorrente è consistita nell'aver dichiarato la conformità dell'intervento edilizio alle norme urbanistiche edilizie vigenti in ambito comunale, il che, indiscutibilmente, rappresenta una connotazione qualificante l'immobile, ed è destinata a fornire informazioni alla pubblica amministrazione sulla attuale condizione urbanistica dell'immobile rispetto al quale era stata formulata domanda di permesso di costruire in accertamento di conformità.

Non si tratta, quindi, nè di un giudizio nè di una valutazione, ma della traduzione in termini giuridici di una condizione di fatto che appartiene al bagaglio tecnico del professionista, anche se detta dichiarazione non costituisce il substrato di un obbligo da parte del privato che voglia esercitare il suo diritto edificatorio. Sostenere, dunque, che un determinato immobile è conforme alla normativa edilizia vigente, equivale a fornire informazioni rilevanti sulle condizioni di fatto nelle quali l'immobile si trova, il che implica una qualificazione ben precisa veicolando notizie rilevanti ai fini dell'esercizio del potere decisionale della P.A. Peraltro, il bene tutelato dalle varie disposizioni in tema di falsità ideologica non è costituito solo dall'affidamento dell'immediato destinatario dell'atto pubblico, che può anche essere a conoscenza della falsità o concorrere nella medesima, o essere indotto in errore da essa; l'interesse protetto è la fiducia che la generalità dei consociati deve a ragione riporre negli atti provenienti da certuni soggetti e la garanzia di veridicità degli stessi (Sez. U, sentenza n. 7299 del 30/06/1984, Nirella, Rv. 165606).

Ne discende che proprio l'attività certificativa, che sostanzia la figura professionale coinvolta, impone la veridicità delle attestazioni provenienti dal soggetto qualificato, a prescindere dalla tipologia di procedimento amministrativo in cui esse si inseriscono; quest'ultimo dato, invece, potrà rilevare ai fini della qualificazione giuridica della condotta, individuando il reato di cui all'art. 481 c.p., allorquando, come nel caso di specie, la condotta non faccia capo ad un'attestazione obbligatoriamente prevista dal procedimento amministrativo di riferimento, pur avendo la funzione di fornire un'esatta informazione alla P.A., piuttosto che il reato di cui all'art. 483 c.p., ovvero quello di cui al D.P.R. n. 380 del 2001, art. 20, comma 13 che, invece, sono integrati allorquando l'atto è destinato a provare la verità di quanto in esso rappresentato (Sez. 3, sentenza n. 29251 del 05/05/2017, Vigliar ed altro, Rv. 270432; Sez. 3, sentenza n. 15228 del 31/01/2017, Cucino, Rv. 269579).

In realtà, nel caso in esame, proprio la struttura dell'accertamento di conformità, che presuppone la già avvenuta esecuzione delle opere e la loro integrale conformità alla disciplina urbanistica, rende evidente come la dichiarazione incriminata fosse del tutto fuorviante proprio in riferimento alla tipologia di accertamento.

Del tutto irrilevante, oltre che generico, appare poi l'argomento secondo cui la Corte di merito avrebbe dovuto mostrare di aver verificato la possibilità di sanare le opere ai sensi del D.P.R. n. 380 del 2001, art. 36, sia in quanto ciò rileverebbe, eventualmente, ai fini della sussistenza o meno dell'illecito edilizio, ma certamente non in riferimento al delitto di falso di cui all'art. 481 c.p., relativamente al quale la difesa non contesta affatto che la dichiarazione del G. fosse falsa, attesa l'inequivocabile motivazione della sentenza impugnata che, sul punto, ha osservato come l'immobile realizzato superasse la volumetria edificabile sulla particella (OMISSIS), non rispettasse la distanza dai confini prevista dalla normativa urbanistica di zona, nè la quota altimetrica indicata in progetto e, soprattutto, fosse un attico e non un vano tecnico.

Tanto premesso in termini di qualificazione giuridica della condotta, va, tuttavia, rilevato che il reato risulta estinto per intervenuta prescrizione, alla data del U2/06/2018, risultando decorso il termine massimo di prescrizione, pari ad anni sette mesi sei, in assenza di cause di sospensione del corso della prescrizione.

Ne discende, pertanto, l'annullamento senza rinvio della sentenza impugnata nei confronti del solo G., ai sensi dell'art. 620 c.p.p., lett. a), perchè il reato a lui ascritto è estinto per prescrizione.

Vanno, invece, rigettati i ricorsi di O.E. e di S.D., con condanna degli stessi al pagamento delle spese processuali, ai sensi dell'art. 616 c.p.p..

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di G.V. perchè il reato a lui ascritto è estinto per prescrizione. Rigetta i ricorsi di O.E. e di S.D., che condanna al pagamento delle spese processuali.

Così deciso in Roma, il 2 agosto 2018.

Depositato in cancelleria il 4 settembre 2018


Avv. Francesco Botta

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